In realtà Nicolavich (non mi chiedete perché si chiami così...), è arrivata venerdì scorso... è una di quelle tartarughe che vivono in eterno, diventando grosse tipo Godzilla... certo, sempre che Leone non la elimini prima!
La volta scorsa vi ho accennato di una storia che sto scrivendo... ebbene, per chi fosse interessato vi posto l'inizio del primo capitolo... per ora niente trama, preferisco incuriosirvi ancora un po' (perché vi state incuriosendo, veroooo??).
Primo capitolo: Sogni
Raccontato da Rob (ogni capito è narrato da un personaggio diverso)
Era una sensazione indescrivibile.
L’aria fredda mi colpiva violentemente il viso, come fosse una lama tagliente che volesse sfigurarlo; era difficile mantenere gli occhi aperti, ma io ero troppo eccitato per chiuderli. Attorno a me le nuvole sfrecciavano come se stessero scappando, dischiudendosi velocemente man mano che le raggiungevo e rivelando un cielo limpido come l’acqua di un lago.
Avevo la sensazione che l’adrenalina stesse ribollendo dentro il mio corpo, invadendone ogni angolo e spazio, fino alla cellula più remota del cervello.
Continuai a volare librandomi nel cielo: più passava il tempo, più prendevo confidenza con quella mia inaspettata capacità.
Improvvisamente, però, un suono stridulo e acuto mi invase le orecchie, spezzando il fragile equilibrio che avevo instaurato con il mio potere: persi immediatamente la concentrazione. Mi portai le mani alle orecchie strizzando gli occhi, mentre il suono mi rimbombava nella testa, ma mi accorsi quasi subito che stavo precipitando: agitavo disperatamente le gambe, sperando che accadesse qualcosa e spiccassi di nuovo il volo, ma questa volta le linee cinetiche del mio movimento venivano contro di me e mi spingevano sempre più verso il suolo…
BUM!
Ero per terra, ai piedi del mio letto. Mi passai una mano sul viso, sentendomi il ragazzo più scemo del mondo, mentre il suono odiosamente acuto della sveglia disegnava vibrazioni invisibili nella stanza.
Mi alzai e la spensi, raccogliendo la coperta che mi ero trascinato per terra. Come diavolo era possibile cadere ancora dal letto durante un sogno a sedici anni suonati? Sbuffai e mi misi la canottiera; avevo battuto ogni record: nervoso già dalle sei e mezza del mattino e non solo per aver fatto quel sogno così stupido. Lo ero anche perché quel giorno ricominciava la scuola.
Raccolsi tutta la mia pazienza e uscii dalla mia camera: il parquet risultò insolitamente freddo sotto i piedi nudi. Sorpassai la stanza degli ospiti e quella dei miei genitori, percorrendo lo stretto disimpegno che le collegava, ed entrai nel bagno: non era troppo grande, ma nemmeno troppo piccolo, con le mattonelle verdi che davano un’eterna sensazione di fresco. Mi sciacquai il viso con acqua fredda e ricambiai lo sguardo infastidito al riflesso nello specchio: anche i miei occhi azzurri come il ghiaccio sembravano nervosi. Diedi una sistematina veloce ai capelli – color cenere – spettinati e mi diressi verso la cucina, al piano di sotto.
Il caffé era pronto, segno che mio padre Giuseppe era già andato al lavoro. Faceva il carabiniere ed esercitava la sua professione fuori e dentro le mura domestiche. Mia madre Alice, invece, era una casalinga troppo perfetta.
Mischiai il caffé al latte in una grossa tazza e vi versai i cereali. Dopo una cucchiaiata decisi di non mangiarli più: sapevano anche loro di scuola.
È buffo pensare come la scuola ti manchi non appena finisce, nonostante tu l’abbia odiata durante tutto l’anno; ma poi, a vacanze estive concluse, quella strana repulsione che si instaura tra lo studente medio e la scuola stessa, si rimpossessa di te ed è solo a quel punto che ti riconosci. Almeno, questo è quello che accadeva a me.
Svuotai la tazza e la riposi nella lavastoviglie che l’avrebbe lavata per me. Ritornai in bagno e feci la doccia; quando ebbi finito indossai un paio di jeans ed una camicia a maniche corte. Presi lo zaino, me lo misi in spalla e salutai con fare svogliato mia madre che si era appena alzata: i suoi boccoli di miele erano un po’ scompigliati, ma il suo viso – appena solcato dalle prime rughe – era dolce e disteso come sempre.
«Buona giornata, Rob» mi disse, passandomi una mano tra i capelli.
Annuii distrattamente e uscì di casa: la brezza mattutina di settembre mi pizzicò le guance, zampettando sul viso. Percorsi il vialetto acciottolato di casa mia, respirando il profumo di erba bagnata che proveniva dal giardino. Da qualche parte Orazio, il nostro labrador dorato di otto mesi, abbaiò sommessamente. Mi richiusi alle spalle il cancello della recinzione e cominciai a percorrere Strada Falterona.
Essa costituisce l’unica zona residenziale di Vòlatri, piccola cittadina dimenticata da tutti e da tutto – perfino dalle cartine geografiche – che conta qualcosa come 1959 abitanti. Qualcuno la definisce un paradiso, qualcun altro un inferno. Questo fazzoletto di terra frequentato da pochi, pazzi e masochisti esseri umani è completamente circondato e dominato dalle Foreste Casentinesi, e consiste, praticamente, in un’unica antichissima piazza – centro della vita economica e sociale – e da Strada Falterona stessa. Ai lati di quest’ultima si susseguono una serie di ville tutte perfettamente uguali, con i tetti arancioni e i giardini quadrati del medesimo verde smeraldo, soffocate dalla foresta che da un momento all’altro – ne ero sicuro – ci avrebbe divorato.
A Vòlatri siamo essenzialmente una grande famiglia: se soffre uno lo fanno tutti, se muore uno tutti devono morire per almeno una settimana, se qualcuno si sposa la totalità della popolazione va in luna di miele per almeno una settimana – anche se solo con la fantasia, ma si sa, fantasticare piace ai noi comuni mortali.
Nonostante gli abitanti fossero pochi non avevo tantissimi amici, anzi, ne avevo davvero un numero esiguo. Come si dice? Meglio pochi ma buoni.
La causa della mia tragicomica vita sociale, era principalmente la timidezza, dalla quale ero affetto nella forma più grave e potente mai esistita nel mondo. Prima di legare e sciogliermi con qualcuno avevo bisogno di tantissimo tempo e spesso questo spaventava e allontanava i ragazzi della mia età.
Ecco perché ogni sabato pomeriggio, me ne stavo chiuso in camera mia, dedicandomi alle due passioni più grandi che avevo: i fumetti ed il disegno.
Dopo aver svoltato a sinistra di casa, superai la villetta di Fioretta e Bandito Rodriguez, coppia messicana di mezza età il cui membro femminile era l’istruttrice della scuola di danza della città, ed il membro maschile un individuo assolutamente inutile e apatico.
Il liceo di Vòlatri era un po’ fuori città e per arrivarci bisognava prendere lo scuolabus. La fermata, comunque, era proprio su Strada Falterona – dove avrebbe potuto essere, d’altronde? – a pochi isolati da casa mia.
Al termine della recinzione dei nostri vicini, un ragazzo parecchio più alto di me, smilzo e un tantino allampanato, mi stava aspettando. Aveva voluminosi riccioli neri che gli ricadevano sulla fronte alta e lucida.
7 commento/i:
Pier se è di quelle acquatiche ricordati di darle un pezzettino di carne (tipo in scatola per capirci) di tanto in tanto..altrimenti il carapace si "ammorbidisce" e non cresce..
e dalle un bacino da parte mia **
anche io ne avevo una tempo fa,è diventata talmente grossa da non stare piu sotto il piccolo ponticello della sua vaschetta!
Che carina! E anche molto intraprendente!
Ciao!
forse ho trovato il mio animaletto da compagnia! l'unico neo è che se diventa grande come godzilla mi tocca lasciarle casa!
... il racconto è un tantino autobiografico eh? molto dolce, come inizio.
ti ho scoperto grazie a calanda e devo dire che sei davvero bravo! anche la storia è scritta bene, non vedo l'ora di leggere il seguito! =)
La nuova arrivata è molto carina :-)
complimenti anche per il racconto. Ho dei dubbi solo sulla parte della descrizione di Volatri, in cui passi dal passato remoto della narrazione al presente della descrizione, inevitabile, lo so, ma che stride un po'...
Per il resto la descrizsione del rientro a scuola mi ha fatto tornare l'ansia ;-) ottimo!!!
La nuova arrivata è molto carina :-)
complimenti anche per il racconto. Ho dei dubbi solo sulla parte della descrizione di Volatri, in cui passi dal passato remoto della narrazione al presente della descrizione, inevitabile, lo so, ma che stride un po'...
Per il resto la descrizsione del rientro a scuola mi ha fatto tornare l'ansia ;-) ottimo!!!
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